L’opera ceramica di Vilma Canton Lautieri come Nota a margine della Creazione

 
 
E’ l’etimologia figurativa che attrae nell’opera ceramica di Vilma Canton Lautieri. Quel suo penetrare nelle pieghe dell’essere per darcene le formule misteriose. Semirefrattario e gres naturale, la sostanza; spesso raku, la tecnica; smalto metallizzato, la patina cromatica. Questa l’esteriorità. Espressionismo onirico, com’è nelle sue corde, lo stilema artistico. Di un’essenzialità calibrata che a volte rasenta il minimalismo primitivo, se non fosse per l’indulgere in chiaroscuri e squarci della materia attraverso cui filtra la luce (Fra cielo e terra, La Sacra famiglia, L’albero della vita). E, allorché consideriamo il gioco peculiare di pieno/vuoto, dobbiamo per forza rifarci allo spazialismo emblematico di cui si alimenta la sua pittura, perché lei è pittrice in primo luogo. Nei suoi manufatti plasmati tagli/varchi sapienti incidono le superfici. In antinomia all'opaco, addensato per sospendere il fulgore, raccontando quanto porta al movimento e ai sensi. Fonti, questi ultimi, di armonie e disarmonie: filiazioni fatidiche di affannosi tentativi di emersione dall’oscurità della tenebra. Così nel Magnum Chaos che ripercorre la potente fantasia del disegno di Lorenzo Lotto, restituito preziosa tarsia per l’iconostasi del coro di Santa Maria Maggiore in Bergamo da Giovan Francesco Capoferri. Qua viviamo il momento prima di qualsiasi Creazione. Quando tutto inizia, aggrovigliato disordine, e si fa. Mentre i piedi, le mani si dispongono analogicamente simili a partizioni vegetali elementari. Se poi sollevate il chimerico organismo di Vilma Canton Lautieri alto sulla testa - spoglia fragrante di conquista - e lo guardate in prospettiva eccelsa, vi apparirà come una mappa arborea. Le mani saranno fronde, il sole chioma, i piedi una ceppaia robustamente accampata nel solido. Già nel Chaos originario, allora, vi è l'embrione di una sorta di assetto, compresso però in vaga unità sovrintesa dall’Occhio sapiente. Che induce a conoscenza. Con l’ausilio del Mago interprete e della Civetta saggia, tutt’uno tramite il medium attivo dell’artefice, capace di indicarcene il significato con gesti dalla ritualità arcana: capovolgerne la testa ricollocandola nei suoi stalli, e viceversa. In sequenza seriale. Fino a generare lo straniamento necessario a percorrere le regioni comprese Fra cielo e terra; fino a gravitare nel cuore pulsante de La sacra famiglia che abbraccia anche il cane compagno d’Amore quotidiano; fino ad affiorare dal mare conducendo un pullulante Marumano fatto di entità per metà bluverdi/oceanine e per metà biancogrigiobruno/terrestri, ripulite dai segni del profondo. Entità ora semierte, ora flesse, ora in molle abbandono a sostegno corrivo l’una dell’altra, ora nitide e svettanti, svincolate quindi dai fili reggitori che rendono ogni individuo burattino, o meglio: Burattino con maschera. E ciò considerata la necessità di esibire il proprio ambiguo doppio - adatto e conforme alle cavità impreviste dell’esistenza - non appena si respiri nell’incontro con il prossimo. Un continuum articolato, il mondo dell’artista. Ricco di geometrie: quelle rigorose, ineluttabili; e quelle tragicamente spezzate. Parlo delle linee d’orizzonte infinito, delle linee frante dei crolli esistenziali, del tondo come controcanto. Una cometa che vorresti acchiappare per la coda e non puoi dato che la sua corsa ti precede sempre, lasciandoti tra le dita solo un po’ della sua luce. Sufficiente a farti intraprendere il viaggio di riconoscimento tra le mutevoli apparenze della Commedia umana.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Vilma Canton Lautieri /
22 agosto 2012









Contributo critico pubblicato in Voce Isontina del 24 novembre 2012.







Le immagini raffigurano alcune delle ceramiche esposte nella Mostra METAFORE / Espressioni artistiche del territorio, aperta al pubblico dal 5 ottobre 2012 al 5 dicembre 2012 nelle sale dell’Europalace Hotel di Monfalcone (Gorizia). Orario continuato.
















L’Humanitas di Vilma Canton Lautieri: gli oli a spatola degli anni ‘90

 
 

Nell’Eclettismo che ce la definisce Fantastica/Mente trova consistenza basilare la rivelazione sofferta di un elemento esistenziale esteso alla totalità del genere umano. In questa zona d’ispirazione, limitata agli anni ’90, a spatolate larghe e dense nascono le fattezze del dolore. Madri velate di notte che si affoltano in sintonie di gradazioni fredde attorno a un bimbo più delicatamente chiaro. Un essere di luce perlacea. Generazioni di donne dagli occhi segnati, dalle bocche socchiuse lo proteggono, evanescente nella sua fragilità naturale. Evanescente pure la figura sullo sfondo, persa quasi in un tempo altro, ma radicata ancora nel presente con il suo fardello di pensieri e la scorta di prove spesso infauste. Il luogo che si crea è un contenitore di valori percettivi e stimolazioni emotive. Alita l’anima di Vilma tra simulacri piegati dall’afflizione. Senza retorica. Con l’esigenza improrogabile di dire storie. Così, i visi possono diventare un collage virtuale in cui si mescolano sembianze, perché lo sguardo colmo di pena è quello del “Fratello Eterno” di Stefan Zweig, le mani diafane e vuote sono le nostre: nella malattia, nel distacco, nella morte. E la Memoria è sabbia sotto le sferzate della Tramontana: un fugace mulinello, onde leggere, il nulla piatto di una perdita, lo schianto dentro. Eppure, dalle tinte della terra che ci tiene impastati di fango, tralucono gemme azzurre. Le tele di Vilma sono un Cantico a tutte le creature. E anche a noi. Modellati in piombo e chiarore. Il cerchio si chiude dove inizia. Allora il talismano sta nella perfezione di un abbraccio? Consola e aiuta il sapere che l’anima si allenta nel dolore, che nel dolore noi ci forgiamo e ci abbandoniamo almeno un poco. Descrivere per esorcizzare, dunque. La realtà scaturisce dalla tensione dell’artista - al di là di ogni diversa mediazione -, attraverso il colore e la sintesi formale. Che si connota peraltro di significati simbolici in certe sagome ieratiche, prive di tratti, e, proprio in quanto tali, allegorie di una denuncia storica. Collocate, quindi, nello spazio pittorico come sentinelle preposte alla salvaguardia dei principi morali irrinunciabili. E ciò, con un linguaggio da disvalore di qualsiasi astrazione lirica e di ogni carnalità viscerale, distillato altresì in una grammatica di allentamento volumetrico. Bastano le linee e le gamme cromatiche a comunicare la concezione estenuata dell’universo contemporaneo. La sua contingenza mai innocente. Arte che ci nutre, quella di Vilma Canton. Vibrando di Humanitas, nell’accezione classica di filantropia, di benevolenza. E di vocazione educativa. Humanitas non innalzata programmaticamente a fatto di poetica, ma scelta con dolente partecipazione e priva – per il suo stesso carattere - di contorni e toni estremizzati. Le tele dispiegano pertanto squarci di vita annuncianti alcuni dei tanti usuali drammi quotidiani, la cui architettura compositiva e gestuale solo talvolta si mostra esasperata. I sentimenti emergono infatti attraverso un filtro che ne interpreta le punte e le propone in proiezione volutamente lontana, quasi fossero sottoposte alle lenti di un cannocchiale rovesciato. Per non permettere allo spettatore di perdersi nel fitto delle immagini. Offrendogli di conseguenza l’occasione di elaborare le pulsioni psichiche e di sentire Compassione. Mentre, nel prevalere della vista interna su quella fisica, l’Estetica si fa Etica. Obiettivo valoriale, quest'ultimo, assolutamente primario del dettato espressionista.


Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Vilma Canton/
22 ottobre 2011