Santa Maria di Aquileia di Don Giuseppe Franceschin
Biblioteca dell’Istituto Madri Orsoline di Gorizia
13 novembre 2009
Introduzione di Irene Navarra

 
 
Presentazione storica a cura di Alessandra Rea
SANTA MARIA D’AQUILEIA / Monastero Chiesa e cura d’anime 1036-1782
 

Questo il titolo. Un titolo importante – come lo è stato, del resto, il monastero oggetto della ricerca -, che già di per sé lascia intravedere ampi, possibili spazi d’indagine attraverso i quali avventurarsi e che il nostro autore offre, su un piatto d’argento, a quanti volessero intraprendere un viaggio nel tempo.

 

IL LUOGO

Il luogo, innanzi tutto: di incontro/scontro tra popoli e culture (latina, slava, germanica), limes/frontiera – anche psicologica, racchiusa tra mare e monti - per ciascuna di esse eppure crogiuolo di tutte. Aquileia, capitale della provincia più orientale dell’Italia romana, da cui si dipartivano gli itinera verso il nord – quelle strade, orgoglio dell’Impero, che veicolavano genti e pensieri “modi di vivere, mentalità, usi e costumi, filosofie, religioni, beni... quasi inconsciamente” in un continuo scambio “non programmato” (dice Rainer Weissengruber),  Aquileia culla del Cristianesimo  - friulano e non solo - con la sua forza innovatrice, e benché nulla di assolutamente certo si sappia sulla genesi1, se non che esso “conserva indizi di forme molto antiche”, come osserva Tavano, è rivendicando forse la sua origine marciana2 - facendo riferimento ai racconti sulla diffusione del nuovo credo proprio ad opera dell’evangelista Marco -  che Aquileia, dopo Alessandria d’Egitto e in aperto antagonismo con Roma, diventa sede di un prestigioso Patriarcato. Qui sorge il nostro monastero.

Di esso si ha notizia nel XII secolo quando risulta ospitare una trentina di monache provenienti dal monastero benedettino femminile di Milstatt in Carinzia. È l’epoca in cui l’attenzione specifica dell’autorità religiosa alla realtà femminile si traduce in un’azione inesorabile di claustralizzazione, a salvaguardia e protezione del patrimonio umano. L’imposizione della clausura preclude relazioni e contatti con l’esterno dalle possibili evoluzioni contrarie alla morale e alla  Regola. Quella di Benedetto3, ovviamente, adattata alle donne.

 

DONNE E NON SOLO

Di donne si parla – e a una donna il monastero è dedicato, la Donna per eccellenza, la Tuttasanta, quella Madre di Cristo e dell’umanità intera il cui dogma della verginità, vissuta all’interno del matrimonio, si era già affermato – di donne, che celebrano con i cantici, adorano nel silenzio, lodano con il lavoro delle mani, glorificano Dio con tutta la loro vita proprio come Maria. Di donne, dunque, ma non solo. Il filo rosa della storia della comunità femminile è soltanto una delle possibili vie da seguire nella lettura di questo consistente volume. Lettura che, attraverso le fonti documentarie – molto spesso riproposte in sintesi per precisa volontà; scelta che, forse, pone dei limiti, ma rispetta l’iniziale intenzione di non realizzare un’edizione critica, cosa del resto già fatta per la maggior parte delle fonti più antiche, né uno studio accademicoci palesa un microcosmo femminile il cui raggio d’azione, però, copre territori geograficamente lontani. Un microcosmo che gode, in virtù dei poteri conferiti all’ abbatissa, di immunità e privilegi. E se i diritti vengono lesi, ecco levarsi forte la voce di queste donne, come fa Margherita de Attimis nel 1550 (p. 152).

Stando alle considerazioni di Gabriella Zarri, i monasteri femminili (le sue indagini riguardano l’inizio dell’età moderna) andrebbero studiati inquadrandoli in una sfera più ampia della semplice istituzione sociale volta alla conservazione del potere, proprio o della classe dominante, in ogni sua forma. L’attività spirituale non si esaurisce infatti nell’ascesi, nella vita di pietà, di carità o nell’azione liturgica della singola monaca, ma assolve a un compito demandato alle oranti dalla società: la funzione, che soltanto a un consacrato compete e soltanto un consacrato può assolvere: intercedere presso la divinità.

Ecco quindi che possiamo scegliere la chiave per accedere a questo universo: religiosa, sociale, politica, economica, morale, di costume... certi di trovare, per ciascun filone, un percorso, un continuum che si dipana attraverso i secoli aprendoci scenari inaspettati.

 

CHIESE E CURE D’ANIME

Intorno a questo primo nucleo di argomenti così individuato, ruotano le vite, le storie di altri personaggi che si svelano – anche se solo in parte, poiché altre figure compaiono nelle trame delle fonti: gastaldi e vicedomini, esattori, degani, giurati, Nunzi, avvocati, procuratori, vescovi, patriarchi... - analizzando la parte finale del titolo: chiese e cura d’anime.
Le chiese sono quelle direttamente dipendenti dal monastero: sparse sul territorio, costituiscono non soltanto centri di aggregazione sociale, ma luoghi dai quali il messaggio evangelico prende forma e viene divulgato. In esse operano uomini di Dio votati alla cura monialium et animarum in una sorta di do ut des in cui il dare e il ricevere sono tam bona quam spiritualia. I sacerdoti dediti alla cura d’anime di monache e fedeli sono scelti direttamente dall’ abbatissa – che in questo modo esercita la giurisdizione ecclesiastica - e corrisposti con la concessione di benefici. Ne sono prova numerosi instrumenta notarili, veri e propri contratti di prestazione d’opera. Il concilio Tridentino, nei venti e più anni di consesso, formulerà nuove norme anche in materia di assunzione d’incarico: molto spesso, infatti, i pievani delle chiese parrocchiali del monastero sono eletti tra i parenti della badessa o raccomandati da questo o tal altro prelato. Un po’ ovunque le procedure conciliari fanno fatica ad affermarsi e ad essere applicate: nella giurisdizione di S. Maria d’Aquileia ciò avviene abbastanza tardi e il primo documento citato dal Franceschin è del 1638 (pp. 303-304).

I documenti proposti sono numerosissimi e multiformi e costituiscono quella che la Zenarola Pastore definisce memoria involontaria – si tratta di tutto ciò che è legato alle necessità pratiche della quotidianità: libri di conti, necrologi, testamenti, calendari, ma anche preghiere, canti, inni... - in contrapposizione alla memoria volontaria – le cronache, i racconti, la letteratura in genere: testi scritti ad hoc o su commissione e che ci restituiscono, il più delle volte, esercizi di stile, momenti di vita interpretata piuttosto che vita reale - sulla base delle quali si ricostruisce la Storia.

 

UN CURATO DI CAMPAGNA

Questo libro rappresenta quindi la volontà di un uomo – un curato di campagna, come ama definirsi - di alimentare la memoria storica dei nostri luoghi, contribuendo alla diffusione di quelle fonti che sono all’origine della nostra Storia locale. Friedrich Schiller, avuta la cattedra di storia presso l’università di Jena, dietro raccomandazione di quel grand’uomo che fu Goethe, formulò il suo discorso di apertura nell’Anno Accademico 1789/1790, ispirandosi a Kant e Herder, incentrandolo sul perché si studi la storia. Tra le altre cose disse “La storia, come rappresentazione del mondo morale, contribuisce allo sviluppo umano dell’individuo” . Ed è in quest’ottica che don Giuseppe Franceschin ha inteso compilare il suo prontuario di fonti: trasmettendoci il rendiconto dei giorni di donne passate, ha voluto farci partecipi – oltre la banalità del quotidiano: dei conti, dei contratti, insomma della gestione ordinaria di un convento – di un intenso e profondo sentire il divino – anche ammesso che non per tutte sia stato così - e che va oltre il gesto o la parola scritta. Questo il senso del libro, che va apprezzato non solo per il lungo periodo di ricerca – lavoro improbo davvero -, ma anche e soprattutto per l’attenzione, il rispetto e la cura dell’approccio: “Ho cercato di leggere e riportare la sua storia nel rispetto della verità e con quella considerazione dovuta per lo stato religioso e la comprensione verso tante giovani che ad esso più o meno liberamente e degnamente si sono votate.” (Prefazione, p. 12). E continua poi, avvalorando quanto ho detto poc’anzi, di aver voluto sottolineare ed evidenziare l’aspetto primario ed essenziale della vita delle religiose, quell’aspetto che le carte non documentano sufficientemente: la preghiera di lode, l’ascolto della Parola, la carità, spirituale e materiale... ciò che resta oltre il tempo.

 

STRUTTURA

Un ultimo, rapido accenno all'architettura. Il libro è costruito al modo degli uomini. Le differenze che si riscontrano nei modelli strutturali prima ed espositivi poi, maschili e femminili sono sintomatiche di un diverso percepire organizzare memorizzare la realtà (questo è quanto emerge dai recenti sviluppi degli studi sul funzionamento del cervello e le sue diverse aree) e ciò condiziona l’idea di consequenzialità logica: Cammarosano, Cardini, Paravicini Bagliani – autore de Il trono di Pietro –, tanto per citare qualche storico noto, utilizzano gli stessi schemi metodologici e strutturali ovvero la suddivisione in capitoli per argomento.

E concludo con una citazione: un verso di Irene Navarra tratto dal suo libro Derive, che mi  sembra davvero appropriato all’argomento e all’occasione: “([...]Perché il passato s’infutura/e poi ritorna indietro.)

 

1 Guglielmo Biasutti afferma che una fiorente comunità sia già attestata nella seconda metà del II sec. d. C.

2 Anche se Pio Paschini liquidò già la questione con rigore di metodo, come ci fa notare Giuseppe Cuscito.

3 Reinhard Hiirtel fa notare che il monachesimo benedettino è un tutt’uno con la storia medievale della nostra regione e contribuisce alla costruzione di una memoria storica, appunto, che non si


Alessandra Rea