Sul n. 4 della Rivista TRIESTE Arte & Cultura (maggio/giugno 2010) Tassilo Del Franco ha recensito l’ Omaggio a Carlo Michelstaedter / Di soglia in soglia la Percezione dell’Assoluto che Irene Navarra ha tratto da un suo studio come performance di riflessione sulle componenti Di Tenebre e di Luce della personalità del giovane intellettuale. Importante partecipazione creativa e critica all’evento da parte di Alessandra Rea che ha indagato le Tracce esistenziali del filosofo goriziano al di là della sua città, di Alessandra Marc in veste di interprete delle sue liriche, della musicista Michela Cuschie con suggestivi pezzi al pianoforte, di Giulia Rivetti e Giuseppe Mennillo nella personificazione coreografica della Bella Morte e di Carlo stesso.
Carlo Michelstaedter: la Percezione dell’Assoluto
Quasi un secolo fa, il 17 ottobre 1910, moriva Carlo Michelstaedter. La sua figura di filosofo, poeta, artista, studioso, anche senza considerarne la giovanissima età, fu la più straordinaria che le nostre terre espressero prima delle guerre mondiali. Il fascino che tuttora emana da questo ragazzo unico nel suo genio lo rende sempre vivo, a confrontarsi col nostro mondo, solo apparentemente lontano. La causa profonda di questa sconcertante presenza tra noi sta in quella volontà di essere fino in fondo, che egli ebbe, essere qui e adesso, come chi coglie pienamente la vita nella sua dimensione totale, affatto distratto da tutto ciò che attenua il lacerante dolore della sua piena consapevolezza. Vita e morte (e la vita sulla soglia della morte) sono, per ciò stesso, tematiche ineludibili, vitalmente e tragicamente necessarie al pensiero del Michelstaedter:
Vita, morte
la vita nella morte
morte vita
la morte nella vita.
Noi col filo
col filo della vita
nostra sorte filammo a questa morte
Il 4 giugno, “a centoventitré anni, un giorno e qualche ora dalla nascita, il 3 giugno 1887”, nella bella sala “Incontro” della Parrocchia di S. Rocco a Gorizia, si è tenuto un memorabile evento a ricordo del giovane goriziano. In esso non si è voluto certo approfondire, e nemmeno affrontare, le varie tematiche legate a Carlo Michelstaedter e alla sua produzione, ma suggerire riflessioni su di lui, farne apprezzare aspetti poco esplorati della complessa e delicata personalità, e della vita: un bel modo di far conoscere e forse amare la figura dell’uomo. L’ “Omaggio a Carlo Michelsaedter / Di soglia in soglia la Percezionedell’Assoluto”, che nasce da uno studio di Irene Navarra, poetessa goriziana e appassionata della vita e dell’opera del poeta-filosofo, ha coinvolto anche la scrittrice Alessandra Rea, la musicista Michela Cuschie e la lettrice Alessandra Marc. Nel corso della serata, che ha visto riempirsi rapidamente la sala per l’affluenza del pubblico, i quadri a olio e gli acquerelli del maestro goriziano Roberto Faganel e i “Pensieri in danza” di Giulia Rivetti e Giuseppe Mennillo hanno illustrato visivamente le parole lette sul palcoscenico. Musica, arte grafica e coreografie legate alla parola, hanno fortemente evocato la presenza del giovane goriziano, mostrandone l’attualità dopo un secolo. Stranamente l’evento, che ha suscitato tanto successo di pubblico, non ha avuto risonanza di stampa a Gorizia. Ciò meriterebbe un discorso a parte sulla considerazione in cui la città oggi tiene la sua cultura e la sua storia. Nella tensione insostenibile del suo essere rivolto alla verità senza tramiti, per l’abbandono di sistemi filosofici, di contemplazioni metafisiche, di metodici artifici retorici, rimaneva al suo spirito la volontà di sublimarsi nell’espressione poetica dell’irraggiungibile. Al ragazzo goriziano si aprivano così le vastità di una dimensione inesplorata dell’essere cosciente: far emergere l’inesprimibile, abbandonando la ricerca vana nei modi della retorica è mezzo per raggiungere, quasi senza cercarla, la verità profonda della persuasione. Quest’ultima dimensione l’avrebbe avvicinato, forse solo per un attimo, all’assoluto. Raggiunta la persuasione, nulla, se non il silenzio, è adatto alla sua definizione: essa, infatti, è contigua alla morte. Ma come toccare la persuasione, se non attraverso la poesia, il disegno, il volo della fantasia? Tutto nella vita è vanità, come nel Qohèlet, alla fine tutto è inutile orpello, per Carlo, al di fuori della persuasione nella pura coscienza.
Al mio sole, al mio mar per queste strade
della terra o del mar mi volgo invano,
vana è la pena e vana la speranza,tutta è la vita arida e deserta,
finché in un punto si raccolga in porto,
di sé stessa in un punto faccia fiamma.
Eppure il giovane Michestaedter che vive con intensità la sua età e fa anche l’esperienza dei tormenti d’amore, non abbandona mai la dolorosa coscienza della realtà dell’esistere:
A che mi guardi fanciulla con gli occhi pieni di luce,
con gli occhi azzurri profondi ed al volto ti sale una fiamma?
Non ha sole la mia giovinezza, non conta gli anni il mio core
l’anima mia dolorosa non sa le primavere.
Fanciulla perché ti soffermi? perché t’avvicini al mio core?
perché o fanciulla l’avvolgi nel fuoco tuo giovanile?
Fanciulla è freddo il mio core, è freddo il mio core e lontano,
non sente l’alito ardente della tua giovane vita.
Sul colpo della pistola lasciatagli dall’amico Rico Mreule, che ha messo fine alla sua vita, si sono dette e scritte molte cose (nervosismo, suicidio metafisico, depressione...). Irene Navarra propone un’ottica interessante: “Come sempre quando penso a Carlo Michelstaedter avviene un fatto strano: il tempo scarta e si riavvolge. A livello di coscienza, per intermittenze non uniformi o incatenate in un prima e un dopo, ma sciolte come la parabola dell’iride in un prisma cristallino dalle facce sempre fulgide, se lo vai ruotando. Facce diverse, un unico cuore vibrante. Il passato ritorna, dunque. Così reale da inalare odore di ceri e deglutire salso di lacrime, tra singhiozzi e salmodie. Riarrotolo ancora un poco il filo del recupero, lascio la morte e torno alla vita di Carlo: la sua voce sillaba gli ultimi versi della lirica del 2 agosto 1910, [Alla sorella Paula]":
Lasciami andare, Paula, nella notte
a crearmi la luce da me stesso,
lasciami andar oltre il deserto, al mare
perch’io ti porti il dono luminoso
… molto più che non credi mi sei cara.
Una morte, dunque, per amore della vita, rincorrendo“il dono luminoso” della “pienezza dell’essere”?
Amico io guardo ancora all’orizzonte
dove il cielo ed il mare
la vita fondon infinitamente.
Guardo e chiedo la vita
la vita della mia forza selvaggia
perch’io plasmi il mio mondo e perché il sole
di me possa narrar l’ombra e le luci
la vita che mi dia pace sicura nella pienezza dell’essere.
Ecco Carlo Michelstaedter apparire illuminato dalla stessa malattia del vivere sulla soglia tra la vita e la morte. Eccolo sospeso nel “disadattamento per cause insite nello stesso esistere”. “Malattia come un filo con a un capo la vita, all’altro la morte. Che si sovrappongono se, con un atto di volontà determinata lo recidi, rendendo la vita morte".
Cade la pioggia triste e senza posa
a stilla a stilla
e si dissolve. Trema
la luce d’ogni cosa. Ed ogni cosa
sembra che debba
nell’ombra densa dileguare e quasi
nebbia bianchiccia perdersi e morire
mentre filtri voluttüosamente
oltre i diafani fili di pioggia
come lame d’acciaio vibranti.
Così l’anima mia si discolora
e si dissolve indefinitamente
che fra le tenui spire l’universo
volle abbracciare.
Ahi! che svanita come nebbia bianca
nell’ombra folta della notte eterna
è la natura e l’anima smarrita
palpita e soffre orribilmente sol
sola e cerca l’oblio.
Tassilo Del Franco, in "TRIESTE Arte & Cultura" (maggio/giugno 2010)