Il carme 31 Voigt di Saffo: note di traduzione e problemi
Saffo, ai versi iniziali del famoso carme sulla fenomenologia dell’amore (31 Voigt), scrive:
Φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν
ἔμμεν' ὤνηρ…
Mi sembra che sia simile a un dio
quell’uomo…
La traduzione, in qualsiasi lingua la si renda, non può deviare dall’originale, visto il concetto che deve esprimere. Saffo vi afferma che le sembra simile a un dio l’uomo seduto di fronte alla fanciulla soggetto della composizione. L'uomo che la guarda, mentre parla sommessamente, ammirandone il sorriso e suscitando così la sua gelosia. Un punto di vista complesso, dunque, il cui focus è rappresentato dalla giovane. L'osservare non vista e il ritenere quasi celeste la natura di colui che sta vicino alla creatura amata, si fa così nella poetaessa di Lesbo motivo di azione lirica e di suggestiva dislocazione prospettica.
Catullo parafrasa nel Carme LI del Liber:
Ille mi par esse deo videtur…
Mi pare che sia simile a un dio…
Quasimodo non si discosta:
A me pare uguale agli dei
chi…
Due esempi illustri per dire:
1. quanti si cimentano nella traduzione di un testo classico devono in primo luogo conoscere la lingua classica in modo perfetto. Guai al traduttore “ignorante” che inventa la sua versione estrapolandola da rese di altri;
2. l’adattamento ai parametri linguistici e ai “gusti” contemporanei è importante per la comprensione del testo, ma non deve essere fuorviante.
Ergo: rendere i versi in oggetto con una formula di linguaggio comune tipo: Beato quell’uomo (traduzione trovata nelle sinapsi mostruose del web), equivale a violentare la sostanza effettiva del frammento di Saffo, rispettata peraltro da ogni grande si sia confrontato con esso.
Pertanto:
1. il significato di beato non può assolvere il senso del periodare greco Φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν (Mi sembra che sia simile a un dio) per una semplicissima considerazione: se la poetessa avesse voluto esprimere contentezza estrema avrebbe usato μακάριος, che significa appunto beato, felice.
2. Analizzando doverosamente quest'esordio di lirica, si evince con chiarezza che l’espressione è riportata all’ottica della poetessa a cui l’uomo pare simile a un dio. Che l’uomo sia felice o meno a lei non interessa per nulla. È simile a un dio perché solo un dio potrebbe stare accanto alla fanciulla che lei, Saffo, adora e per cui nutre una cocente gelosia.
3. Se poi si intende beato come proiettato misticamente in una dimensione divina, e questo per restare in tema con il testo greco, lo svarione è ancora più grave poiché si usa il termine in un’accezione che i Greci non potevano concepire in quanto patrimonio della futura Rivelazione cristiana. E ciò, fermo restando che il lemma beato nel mondo greco è riferito alle Isole Fortunate o Isole dei Beati ai confini del mondo dove, secondo la tradizione esiodea, risiedevano alcuni eroi che si erano meritati l’immortalità per la condotta esemplare.
Non è il nostro caso.
O meglio: non è il caso dell’uomo che guarda e ascolta la fanciulla del tiaso di Saffo.
Irene Navarra / Quaderni di traduzione/ Saffo /
22 maggio 2013