La terra, la visione di Irene Navarra
Presentazione a cura di Gloria Angeli
Museo Michele Gortani - Tolmezzo
11 giugno 2010

 
 


La terra, la visione di Irene Navarra
Presentazione a cura di Alessandra Rea
Biblioteca Statale - Trieste
21 aprile 2010 (Settimana della Cultura Italiana)

 
 

Il nostro vivere quotidiano si snoda in un territorio straordinario, segnato certamente da ferite ancora aperte - ferite storiche che tutti conosciamo - ma benedetto dal cielo. Le favelle costitutive ne sono un tratto. Le nostre case, i campi, i colli risuonano di parole pronunciate in tre lingue che si accordano e si integrano tanto da formare quella buona pasta, unica nel suo genere, che ci contraddistingue. Questo ha voluto cantare Irene Navarra, assieme al senso di gratuità colto in ogni manifestazione naturale, dall’infinitamente piccolo al grande, in giochi continui di rimandi che testimoniano la bellezza del creato e ci rendono attoniti di fronte a tanta gloria, inducendoci a tentare di dirla.
Raccontare pertanto la natura nei ritmi alterni delle sue stagioni è la vocazione di questa lirica, che non si accontenta di soli tratti esteriori. I colori infatti, i profumi, le piante, le vigne in particolare con i loro vasti filari, rimandano ad altre intenzioni. La poesia è qui uno specchio. In esso si riflette il mondo, attraverso un gioco di rifrazioni e di bagliori. E la ricerca di attimi, assoluti e vivificanti, ha il carattere simbolico del viaggio spirituale compiuto a ogni passo del peregrinare tra realtà e sogno. Lei scende in sé, in una sorta di memoria dilatata – dapprima volontaria - ricostruendo frammenti sparsi. Tanto labili da poter svanire in un battito di ciglia, se sensi e mente non sanno coglierli, fissandone il segno con una parola che esprima il gioioso riaffiorare alla coscienza, carica di tesori a lungo cercati. Così, purificata dalla sua stessa ricerca, sa sorprendere i baleni di un universo ritrovato, per assorbirli e restituirli, nell’atto della scrittura, come prodigi singolari, tramite rivelazioni, tese e commosse, ben conscia sempre di un “oltre”o di un “altrove” trascendente. Il Divino dietro lo specchio. Abile a svaporare, schermandosi fra enigmi imperscrutabili, quando, per la crescita dei livelli di comprensione, ci si perde nel suo Immenso. E c’è di più: l’acuirsi della sensibilità verso la natura la porta a intuire l’anima delle cose, riconoscendo loro una particolarità, un'individualità, che le rende di volta in volta dolci, amare, confidenti, aggressive e, soprattutto, il vibrare prolungato della sua stessa voce.
In questa concezione circolare per cui ogni essere animato o inanimato è autonomo e interdipendente allo stesso tempo, e non è ripetibile, quindi indispensabile e da non sacrificarsi, la poetessa rinnova di continuo un sentimento di letizia profonda: la consapevolezza di essere parte necessaria di un tutto in cui il tempo sembra fermarsi, farsi eterno. Il divenire scorza vegetale, acqua di fiume, nube, vento, la porta all’abolizione del termine umano. O meglio, a travalicare l’umano. Nella certezza del mutamento. Che è vita, morte, e vita ancora, e poi morte e vita ancora. Luminosissima Vita. Spirituale.
I vasti filari della mia campagna, la prima silloge del libro, vasti perché larghi all’antica, ancora lavorati in qualche caso con altre coltivazioni, e vasti in quanto comprensivi dell’anima bella di questa terra speciale, portano tracce umili e meravigliose: trifoglio, cardi, soffioni, ranuncoli e vigne di uve malvasia, pinot, merlot.
La vigna, dunque, è protagonista assoluta di questa sezione. Appaiono nell’alternarsi ciclico delle stagioni, di giorno e di notte, i vitigni che si susseguono nella piana rigogliosa di Gorizia, simili a benevoli numi protettori. "Su, su, sino ai colli più nobili dove l’uva non è più trasformata in nettare amico scambiato di casa in casa, ma vinificata scientemente e venduta spesso a chi questo territorio non lo ha mai visto, a chi non ha mai sudato pedalando sulle sue salite e trasalito ai suoi refoli di bora, a chi non sa prevedere il tempo che sarà, osservando come si incanalano le nubi tra due alture, a chi non si è mai seduto sotto i suoi noci guardando le viti che piangono." (dall’Introduzione di Silvia Valenti, pag. 10).
Accanto ai vitigni: i gelsi, giganti familiari, simbolo perdurante di un’economia ormai tramontata, quella dell’allevamento dei bachi da seta e dei setifici, vitale fino agli anni ’50. E il Calvario poi, come un dinosauro che inarca la sua groppa perenne abbeverandosi nelle acque del nostro grande fiume, il magico Isonzo, la culla liquida dei sogni fanciulli. Il tutto sconvolto spesso dalla bora che ci si riversa addosso dalla dolina di Čepovan e ci solleva quasi trasportandoci con sé, ai limiti del nostro territorio.
Dopo il correre dell’Estate, dell’Autunno, dell’Inverno, dopo la tenerissima Primavera reale dei nostri colli, ecco la Primavera a San Mauro, ovvero la stagione del ricordo, che riporta la poetessa dove ho vissuto in armonia con il Creato attraverso le sue creature: Kurt, Asia, Achab (i cani dell’amica Gilberta Barnaba), la Gibi stessa con il figlio Manuele, sua figlia Silvia, Emma. E ancora l’Isonzo nelle cui acque gelide era bello nuotare, flottando in bollicine di smeraldo, con una gioia tale nel cuore da ringraziare spontaneamente il Signore per tanta beatitudine.
Con la morte di Emma, nelle prose deragliate Tracce, scoppia il dolore, la ribellione impotente. Ma arriva anche il tempo di acquietarsi e di riemergere dalla pena - nel Congedo - per l'abbraccio di altri spazi amati, percorsi con occhi attenti a percepire alterne trasformazioni. E presenze immortali.

La terra, la visione di Irene Navarra
Presentazione a cura di Silvia Valenti
Biblioteca Statale Isontina - Gorizia
3 dicembre 2009

 
 

Un viaggio dell’anima nell’anima, questo libro. Un viaggio mistico in cui la natura diventa tramite e ponte per la comprensione dell’infinita grandezza del creato e per l’assoluta finitezza degli esseri che ci accompagnano nel nostro cammino. Il cuore palpita per la profonda bellezza dei versi mascherati da un’apparente semplicità, e alla vista dei dipinti che questa parvenza di quotidiano rendono palese. Due artisti, Irene Navarra e Roberto Faganel che, inconsciamente sinergici, condividono le medesime pulsioni ispiratrici pur usando tecniche dissimili.  Oltre il visibile, oltre il percepibile esistono miriadi di universi e altrettanti livelli interpretativi. Le nostre campagne sono così terreno fertile all’incontro: con la natura, con gli animali, con la storia, con la gente. Gente che per radici e tradizioni è abituata a discorrere in tre lingue diverse, ora non più distinte, ma sorelle. Ricchi di echi e rimandi sono i linguaggi di questo libro. Testi e immagini ci aiutano a capire il miracolo delle stagioni, i prodigi dell’amore per la vita in tutte le sue forme. Testi e immagini ci sostengono in un necessario cammino di più consapevole introspezione. La quotidianità con i suoi tanti minuscoli doni è solo la punta di un immenso iceberg. Bisogna scavare con abnegazione per giungere alle porte nascoste dell’inconscio. accumulando visioni su visioni. Spesso sono il dolore e la sofferenza ad agevolare questo processo, altre volte i ricordi e i legami, altre ancora la natura. La natura che, come la filosofia zen indica, è immagine dell’assoluto, in cui pare quasi allontanarsi il più possibile dal divino per ritrovarlo trasmutato in materia che tutto permea.
Pennellate e parole sono, dunque, termini incredibilmente inadatti a spiegare l’arte di questi due artisti: le pennellate racchiudono l’emozione del sole che nasce, e le parole divengono chiavi di cancelli che si spalancano alla conoscenza. Insieme, ma separati, ognuno nella sua intimità, Irene e Roberto, hanno generato un’unica energia, a distanza di anni e di luoghi si sono chiamati e trovati. Le liriche e i quadri non sono frutto di un progetto comune. Consistono nel tempo e nello spazio come entità a sé stanti. Perciò la loro grandezza esplode luminosa.