L'ombra dell'es
I segni che dividevano virtualmente in campiture gli spazi di molti suoi “Fram/MENTI” qui si sono dilatati, diventando varchi aperti sull’anima e sulle sue inquietudini. Ne esce e si consustanzia un’ombra raccolta, sfumata, le spalle rivolte al riquadro di luce indicante un esterno di un rosso puro, acceso su chi vi è rimasto. Si rivela così il sostrato colto del dipinto, nei cui confini rarefatti il platonico Mito della caverna trova una sua ragione di ritorno consapevole per scenografia e significato; esaltati peraltro, questi ultimi, dalla quieta saggezza dell’entità in primo piano. Meglio scegliere di guardare solamente i simulacri dell’affannarsi umano proiettati sulla parete buia dell’antro dove ci si rifugia, quando il peso della vita è troppo greve per la nostra fragilità. Ritornare insomma alle radici profonde dell’essere, per rafforzarci e riprendere il viaggio.
Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Enza Voglio /
7 dicembre 2011
Lo spazialismo emblematico di Enza Voglio
I “Fram/MENTI” di Enza Voglio: pagine di un diario speciale. Immagini captate dalla mente e trasferite sulla tela in una sorta di travaso naturale. Messaggi che l’artista sa imbrigliare trattando l’alchimia dei pigmenti puri con gesti antichi, per bloccarli in una veste traslucida di trasparenze resinate. Vale a dire: la corporeità ci sfugge e noi, con i mezzi di cui disponiamo, dobbiamo tendere trappole per illuderci di imprigionarla. Mascherandone la caducità in forme primigenie d’invenzione, dove l’estro dell’artista, in un arretrare necessario alla comprensione delle radici esistenziali, spiega da strati sovrapposti figurine astratte, fate sapienti del buio iniziale ma ghiotte anche di luce. Affamate anzi di luce e di colori sapidi, decisi come la loro nascita per strappi in campiture/quinte sceniche da cui affrancano la loro fisicità accennata e curiosa. La pittura di Enza Voglio è profondamente femminile. Nel cartiglio/firma che ne afferma la personalità consapevole, e nel concetto di enucleazione che porta alla donna e al suo istinto ancestrale. Tentare, affrontare, scandagliare l’ignoto è parte intima di ogni sua ispirazione; appassionarsi diventa respiro vitale per chi ne conosce le atmosfere. È lei stessa a dirci: “Dipingo l’universo così come mi arriva”. Ovvero: scruto quanto è attorno a me, me ne nutro, sento il suo mistero e lo trasferisco in simboli inevitabilmente alieni a qualsiasi definizione. Siamo materia in transito, quindi poca cosa concreta. Conta l’anima, l’alitare del microcosmo nelle falde dense del macrocosmo; oppure il compenetrarsi dell’assoluto e del relativo nella contingenza del momento. Una sensibilità esasperata ne connota gli impulsi creativi, da donna che ha bevuto profondamente alla fonte del suo sesso sente il pulsare del mondo. Se ci sono entità maschili nelle sue opere, esse risultano avvolte in una ragnatela di filo spinato da cui solo talvolta sorgono, simili a manichini o a guerrieri monchi e riconoscibili come tali unicamente per attributi e orpelli esteriori. Mentre oltre il limite imposto dalla consuetudine vibrano alettanti dinamiche comunicative. Che non annullano però le istanze autoriali. Spazialismo d’idea allora, il suo. Incide infatti solo all’apparenza la tela per appropriarsi di quanto sta dietro e attorno; astratti, i suoi soggetti, sub specie rinuncia e denuncia di qualsiasi lirismo per affermare segni puri che compongano armonie di repertori emblematici a screziature sobrie in contrappunto a superfici più uniformi. E ciò, al di là di ogni richiamo al MAC di Dorfles, Monnet, Soldati, Munari. Sarebbe riduttivo costringere Enza ai margini di una rivoluzione di uomini per gli uomini, farla seguace di movimenti nati in opposizione al realismo militante e all’informale della metà del Novecento. In lei e da lei prorompe energia pura. Simile a un fuoco divampa e la incendia. Finché esplode nel colore, in quei rossi tragici graffiati da squarci pieni d’ombra, negli azzurri vigorosi che travalicano cielo e mare perché interiorizzati e convertiti nei suoi personalissimi territori, da percorrere come ladra di senso - fervida di prometeici furori - per portarcene l’interpretazione folgorante.
Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Enza Voglio /
9 ottobre 2011