Sovrimpressione epica (1)
Sovrimpressione epica (1)
E finirò appesa al chiodo.
Cappotto vecchio smesso
zeppo di ragnatele e buchi
dai bordi netti sfarinati d’oro.
Dentro quel panno informe
mi fingo il busto eretto,
le braccia affusolate,
il ventre piatto.
Un soffio ridanciano
gonfia la gracile penombra
delle trame/polvere.
E finirò appesa al chiodo.
Cappotto vecchio smesso
zeppo di ragnatele e buchi
dai bordi netti sfarinati d’oro.
Dentro quel panno informe
mi fingo il busto eretto,
le braccia affusolate,
il ventre piatto.
Un soffio ridanciano
gonfia la gracile penombra
delle trame/polvere.
La porporina tossica ricopre il Sacro Graal
e Galahad ritorna ad affacciarsi gobbo
dalla coppa tutta ormai bevuta.
La meta per chi vive è un involucro consumato dal tempo in cui resta qualche segno di noi, profumo o polvere che sia. Le cose parlano. Forse soffrono per la nostra assenza. Voglio indagare. Così ho veramente appeso un cappotto vecchio in un angolo buio della casa. Ritorno spesso a lui, come in pellegrinaggio. E ricordo. E mi fingo la bella forma che era mia. Fingo coscientemente. Penso che quando morirò mi ci infilerò dentro e proverò ad adattarmi ritagliandomi uno spazio tra cuciture lise e porporina dorata di tarme. Fatta di niente in un tessuto di velina. Per tramandarmi ironica al popolo delle celle minime della sostanza eterea.